Armando Porrovecchio, titolare di Elettroingross ‘94
Come descriverebbe il presente della sua azienda? "Oggi Elettroingross è una azienda in ristrutturazione, in funzione delle evoluzioni del mercato. Abbiamo 36 dipendenti e un fatturato superiore ai 13 milioni. Abbiamo chiuso la filiale di Catania per ridurre i costi e renderci più leggeri e più aggressivi".
La crisi compie un anno... "E questo anno lo abbiamo vissuto male. Mi riferisco al credito, ai volumi, alla mancanza di lavoro. E l'unica cosa fattibile in questi mesi è stato ridimensionarsi e ristrutturarsi. Per ritornare ai volumi del 2008 impiegheremo quattro-cinque anni".
Al Sud la crisi è stata più soft? "Noi da sempre abbiamo patito, ma dimensioni come quelle attuali non le avevamo mai viste. Stiamo soffocando".
Provi a dire che cosa ha originato i patimenti maggiori... "E ‘ difficile fare dei distinguo. Più facile dire che tutto è andato male. Calati i volumi di affari, cresciuta l'ossessività dei fornitori. Immemori del fatto che noi operiamo con il credito assicurato".
I vostri clienti su che lavori operano? "Purtroppo si relazionano molto con la pubblica amministrazione e questo è un grosso problema perché è insolvente. Noi abbiamo diverse pratiche affidate al legale: sono tutti clienti che operando con la pubblica amministrazione sono in crisi anche loro. Oggi per correre determinati rischi serve una grande disponibilità finanziaria".
Quale insegnamento le ha dato la crisi? "Oggi non c'è un modello da seguire, un esempio con il quale misurarsi. Non c'è esperienza precedente cui rifarsi. In tanti anni di lavoro - e sono decenni - non ho mai visto una crisi così ampia e pesante. La ricchezza si sta ridistribuendo in altre parti del mondo e quindi la risposta va data a livello europeo e non nazionale".
Essere in un consorzio ha in qualche modo lenito le vostre pene? "Sì, per certi versi è stato un vantaggio, anche se resta un impegno molto forte. Mi riferisco ai termini finanziari. L'azienda deve impegnare molte risorse per far fronte agli impegni presi con il consorzio. Anche se il consorzio ti dà poi la possibilità di impegnarti su nuove strategie che dovranno comunque essere affinate per uscire meglio dalla crisi".
E' soddisfatto della propria militanza in Gewa? "Ci sto da tanti anni. E in questo momento non ci sono grandi differenze tra un consorzio e l'altro, perché tutti sono impegnati nel confronto con la crisi. La mia personale opinione è, comunque, che quella del consorzio in generale, non di Gewa in particolare, sia una formula vetusta. Serve rinnovamento perché certe politiche non pagano più . Oggi i consorzi esprimono uno scarso potere contrattuale".
Cosa bisognerebbe fare, secondo lei? "Lo strumento adatto sarebbe creare aggregazioni locali e trasferire parte delle strategie consortili ai poli regionali. Si avrebbe così un potere contrattuale diverso nei confronti dei fornitori".
Come si muove a suo avviso Gewa, rispetto ad altri consorzi? "Ovviamente ci sono dei gruppi che sono più forti. Però la nostra capillarità sul territorio ci rende secondi a nessuno".
Quale è il mercato che sogna? "Lo vedo molto diversificato, non solo come mono-settore. Lo vedo impegnato su diversi comparti e soprattutto nell'ambito di nicchie specializzate. Per sopravvivere servono margini. E' evidente che la distribuzione di materiale elettrico deve essere l'attività prevalente ma la ramificazione possibile è molto ampia possibile. Per fare un paio di esempi penso all'illuminotecnica e all'accessoristica del fotovoltaico".
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